Proprio per questo motivo, dunque, è necessario che le strutture sanitarie private godano di una buona reputazione, offline ma soprattutto online. A tal proposito, è interessante l’analisi fatta a novembre 2016 da SynUosa, società che esplora i big data per sondare la web reputation, per capire cosa pensassero gli italiani del Sistema Sanitario Privato: in tale ambito, infatti, la prima cosa che è stata osservata è che la brand reputation della sanità sia estremamente polarizzata e divida le opinioni dei consumatori online.
SynUosa ha analizzato oltre 8500 documenti sul web e ha individuato due “luoghi” di discussione: i social network e i giornali da una parte, i siti di recensioni e forum online dall'altra. E ha notato che la brand reputation della sanità privata è molto diversa a seconda della fonte consultata. Per esempio, chi commenta sui social network e sulle testate giornalistiche è molto polemico: da qui emerge un sentiment comune di sfiducia e di percezione negativa. Per molti utenti la sanità privata è un sistema che arricchisce esclusivamente gli attori coinvolti a discapito dei pazienti e a discapito della sanità pubblica.
Al contrario, invece, sui siti di recensioni e forum dedicati, dove i pazienti raccontano le loro esperienze all'interno delle cliniche e strutture private, il sentiment è molto positivo. Emergono ottime opinioni sul livello delle strutture, sulla velocità dei servizi (visite ed operazioni) e soprattutto emerge l'importanza del rapporto con il personale sanitario: dagli infermieri al medico operante. Questa ricerca mostra in modo piuttosto chiaro l’esigenza fortissima del privato che deve assolutamente dotarsi di strumenti che gli permettano di avere una credibilità del brand forte e strutturata.
Uno degli strumenti migliori per raggiungere tale obiettivo è quello della Customer Experience, cioè la somma di esperienze, emozioni e ricordi che un cliente ha maturato nella sua interazione con il brand in tutte le fasi della sua relazione con quest’ultimo. La società di consulenza Kpmg ha realizzato, nel 2017, una ricerca dal titolo “L’era della Customer Experience” da cui è emerso che la prima azienda in Italia a eccellere nella Customer Experience fosse Amazon. Quella di oggi è definita, dagli analisti, “l’Era del Cliente” non a caso: i consumatori non si accontentano più di acquistare un prodotto, ma chiedono di vivere esperienze profonde d’interazione con il brand. L’affermarsi delle tecnologie digitali, mobile e social media in particolare, ha accelerato il trasferimento del potere decisionale dall’azienda al cliente, che diventa il protagonista dell’esperienza di acquisto. La Customer Experience è quindi la nuova arena competitiva e primo vero asset distintivo di un marchio.
Secondo Kmpg c’è una sola ricetta per l’azienda da mettere in campo: per il brand è importante essere in grado di offrire esperienze d’acquisto personalizzate, semplici e gratificanti, con una comunicazione empatica e trasparente. Ma tutto questo ha come presupposto un percorso che passa dall’acquisizione di un apparato di competenze distintive e su misura da parte dell’azienda in relazione al settore in cui opera.
In ambito sanitario privato questo vuol dire investire molto – tempo, energie e sì, anche denaro – in alcuni elementi. Innanzitutto nello storytelling del proprio ospedale: raccontare i valori, la storia, le evoluzioni, i cambiamenti e i propri operatori sanitari (dai medici agli infermieri passando per tutti quelli che operano anche al di fuori di mansioni mediche). Poi c’è una parte tecnologica che ormai, nel 2019, non può più essere sottovalutata. Sono, ad esempio, le app sanitarie che inviano messaggi ai pazienti per ricordare l’appuntamento successivo o per segnalare il risultato di un esame, lo stesso che viene caricato sulla pagina utente, sulla quale il paziente può tenere sotto controllo lo stato di salute. Sviluppare, anche, l’utilizzo di smartwatch per misurare i parametri fisiologici dei pazienti come il battito cardiaco. Tecnologie, insomma, a cui potranno accedere sia i pazienti sia i medici, questi ultimi con l’obiettivo di consigliare le best practice agli utenti anche se non sono nella stessa stanza.
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